curated by Fulvio Cervini
7th October – 7th November 2023
Galleria d’arte La Fonderia presents se il sole è la luna, Filippo Cigni solo show, curated by Fulvio Cervini. The opening will take place on October 7th at 6 pm at Via della Fonderia 42R in Florence.
The first solo show of the young Florentine artist displays a progression of works that explore the meaning of painting, rather than purely seeking self-expression. The use of black pigment, in its roughest or most refined declinations, interacts with gold leaf, bringing out, from the first works, the interest in a mythological and philosophical investigation, pervaded by an alchemical feeling. In recent works, a deeper study of materials has elevated itself to both protagonist and narrative medium as well, where wax now imprisons ideas and perceptions.
Art asks questions, and the exhibition path in front of which we find ourselves becomes an intellectual act. What is being narrated is a non-story, reflection is invited to go beyond mere representations and focus on concepts and their opposites. Although guided by letters that make up words and numbers that appear as codes, what is captured are a series of more veiled ideas and cues that do not recall the immediacy of their contemplation. Approaching the young artist’s works, we will find ourselves faced with delicate scratches and engravings, which emerge from the rough black of the sands used, or reflections of enamels and waxes that capture and shine in their sinuous and immersive forms.Going beyond the narrative presented to be able to appreciate the thousand other realities and their opposites: this in Filippo Cigni’s works is expressed in the material elements and colors, as messages of something else, asking the mind to conduct an investigation into the essence and existence itself.
The image – writes Fulvio Cervini in the critical text – is suitable for a metaphysical and spiritual journey as well as for a loved one, in the spirit of Shakespeare’s famous sonnet in which days become nights and nights become days, in relation to the moment in which lovers manifest themselves and meet. If the sun becomes the moon and vice versa, much (perhaps everything) depends on our ability to read materials and atmospheres, and therefore stay inside them.
The exhibition will be open until November 7th from Tuesday to Saturday 10 am-1 pm and 3.30 pm-7.30 pm
“Una celebre pagina miniata dell’Evangeliario di Sant’Andrea a Colonia, oggi conservata a Darmstadt, mette in scena una sequenza di vibranti bande orizzontali in varie tonalità di blu, verdi, turchesi. Lo scopo era quello di rappresentare il cielo – e dunque la trascendenza, l’infinito, l’epifania del divino – ma l’artista è giunto a un tale livello di formalizzazione da far pensare non al lavoro di un pittore del primo XI secolo, ma di un espressionista astratto americano del XX. Il miniatore medievale non intendeva certo fare arte astratta, ma implicitamente ci suggerisce che alla radice dei codici espressivi propri di quel che chiamiamo medioevo, come di molta di quel che chiamiamo modernità o contemporaneità, c’è una consapevole riduzione del gesto artistico a una coscienza ritrovata – perché sottoposta a una sorta di processo di depurazione e sublimazione – del colore e dei materiali.
Evocare il medioevo in occasione della prima personale di Filippo Cigni non è un artificio retorico, e non solo perché le sue tavolette propongono le variazioni sul tema che si addicono a un canzoniere insieme visivo e poetico: prova ne sia che tutto ruota idealmente attorno a una singolare rivisitazione della tipologia pittorica tardomedievale per eccellenza, un trittico archiacuto (ispirato all’Annunciazione di Simone Martini, che però possiamo tranquillamente dimenticare) realizzato con il sapiente contributo del collega Milo Maricelli che è intervenuto nella parte più propriamente scultorea. Chi ha un’idea vaga dei polittici medievali o del primo rinascimento potrà credere di essere davanti a una sua negazione, perché gli scomparti sono coperti da cera e pigmenti che sembrano rappresentare l’antitesi tanto della figura quanto del colore: ma in verità esaltano la foglia d’oro dell’unico scomparto in cui la materia rifulge attraverso la luce, esattamente come nei fondi dei polittici di allora, ovvero sulla superficie di un reliquiario prezioso. Ma quell’oro non allude soltanto all’evocazione quasi esoterica di un mondo altro, perché chiede di essere percepito come un fattore di modernità quasi sperimentale che non appartiene certo al solo medioevo: senza l’oro, forse neppure potrebbe esistere l’art nouveau, né le sculture di Adolfo Wildt sarebbero la stessa cosa. E proprio qui a Firenze la foglia d’oro assume un significato affatto speciale, se pensiamo che al principio del Settecento Sebastiano Ricci applica ventimila foglioline d’oro sulla volta di una delle sale di Palazzo Marucelli-Fenzi, per poi dipingervi sopra un autentico paradigma di civiltà barocca.
Ma il lavoro di Filippo si nutre di suggestioni diacroniche e trasversali che tendono a rimandare ancora a un medioevo sorprendente e in verità modernissimo. Quello che codifica un’iconologia dei materiali tale da valorizzare una semplice lastra non figurata, si tratti di argento, porfido o bronzo. Come se la materia tagliata e levigata fosse già un’opera d’arte di assoluta eccellenza. Con l’eccezione dell’oro, Filippo predilige invece tecniche e materiali che rimandano alla tradizione ma esprimono una certa idea di povertà e umiltà, come encausti, cere, pigmenti: che derivano tutti dalla natura, non dall’artificio. L’impressione è che si tratti di materia quasi vergine, laddove è stata invece abilmente manipolata, non fosse che per organizzarla nel prevalente formato quadrato. Al contrario, essa suggerisce quasi un’idea alchemica di trasformazione della materia finalizzata alla produzione dell’oro, e dunque un percorso di elevazione spirituale. Quel che noi vediamo nero come la pece e il petrolio può trasformarsi in luce paradisiaca, e viceversa. O forse il puro paradiso è semplicemente celato dietro le apparenze, e anche dove vediamo soltanto materia bianca dovremmo prepararci a uno spettro cromatico infinito. L’immagine si addice a un percorso metafisico e spirituale come ad uno amoroso, nello spirito del celebre sonetto di Shakespeare in cui i giorni diventano notti e le notti giorni, in rapporto al momento in cui gli amanti si manifestano e si incontrano. Se il sole diventa luna e viceversa, molto (forse tutto) dipende dalla nostra capacità di leggere materie e atmosfere, e dunque starci dentro.
Queste opere hanno bisogno di tempo: dietro l’apparente istantaneità, richiedono una contemplazione lenta e meditata, capace di seguire ogni minima increspatura di superficie, come nella Prima idea di bacio; ma a sua volta il tempo agisce da scultore, trasformando una materia che da par suo si consuma ogni volta che viene toccata (e qualcosa ci resta anche sulle dita). Ogni opera è prodotto (mai definitivo) di una stratificazione di tempo molto più lenta e articolata di quel che appare. Parimenti (Materia Ludens, Orfeo ad Euridice), apre porte dove non ce l’aspetteremmo: varchi sull’abisso, nero su nero; ma dove basta una lama d’oro per dischiudere un mondo. Che sarà circondato dalla tenebra, ma proprio dalla tenebra trae linfa. L’oro è prezioso perché il mondo non è aureo, ma tendenzialmente opaco. Ma negli scomparti grigi e opachi dell’Annunciazione non c’è forse una luce non meno intensa (e forse più vera, perché sofferta) di quella che brilla nell’unico totalmente dorato? In fondo la materia è ctonia per definizione: noi associamo l’oro all’empireo, ma il metallo più prezioso e simbolico di tutti sta sottoterra come l’argento e ogni altro metallo.
Le opere di Filippo sono dunque apparentemente prive di trama come di struttura: l’unico elemento che possa far pensare a una figurazione riconoscibile in senso naturalistico è una mano in gesso frammentaria che par sopravvissuta a un’eruzione vulcanica, e dunque proposta come reperto. Di riduzione in riduzione le sue tavolette vogliono quasi esplorare la matrice di tutti i percorsi creativi possibili, e dunque restituire il gesto artistico a una materia che l’era digitale sembra aver sradicato dai nostri orizzonti visivi; ma al tempo stesso farci riflettere su quanto questa materia sia cangiante, volatile, sfuggente. Non per niente la lettura è innervata da un senso dell’ironia che pervade i titoli, e che induce a ribaltare continuamente le chiavi interpretative. Anche per questo siamo avviati a renderci conto che questo discorso sulla materia è una sorta di nuova frontiera dell’arte concreta che a sua volta vive di citazioni: il trittico è una sorta di sfida per adattare Rothko dentro una forma medievale, mentre le macchie di cera, con il loro spessore (per esempio nella Prima idea di terra), paiono alludere in forma miniaturizzata alle monumentali Elegie di Robert Motherwell. Il cambio di passo spiazzante è che qui la cera assume una formalizzazione inattesa diventando un cubo, e dunque facendo scaturire un vero solido da una superficie che quasi sempre percepiamo essenzialmente come dipinta (eppure non c’è opera di Filippo che non sembri un bassorilievo). Altrove il cubo è aureo e definisce le coordinate di una nuova astrazione (La prima idea di spazio), mentre in Fuoco e Fuoco II la carpenteria del polittico viene sparigliata e riallineata secondo una sintassi che riduce l’opera al puro supporto. In questo universo formale delibato e controllato possono quindi coesistere anche residui concettuali e ricordi di street art (Opera al cielo, La prima idea di alba). Per quanto numerosi, i riferimenti possibili sono tuttavia così centellinati che ogni opera sembra quasi un frammento, un relitto, ovvero il supporto di un’opera ancora da realizzare. Come il trittico, su cui sembra che il pittore debba ancora fare molta preparazione per cominciare a dipingere davvero, e invece è frutto di un intervento già molto meticoloso e stratificato. Questa trama di rimandi, di per sé aperta, non è soltanto un gioco combinatorio postmoderno. Si configura invece come una sorta di percorso spirituale verso un grado zero del linguaggio che riattribuisca alla materia un protagonismo perduto: come dire che scultura e pittura sono materia, e viceversa. Che induca a riflettere su una diversa e più intima idea di bellezza come antidoto all’abuso retorico che oggi si tende a fare del discorso sulla bellezza. E che dunque ci aiuti a ripensare la bellezza nel tempo.”
Fulvio Cervini